Una cosa che mi disturba molto è che avviene, purtroppo, sempre più spesso quando insegno fuori dal mio dojo, è legato al problema dell’educazione, in giapponese “Sai” (educare), che immancabilmente sconfina nel dover dare indicazioni morali che invece andrebbero capite e applicate con semplice naturalezza, la quale a sua volta dovrebbe scaturire da una utentica pratica scevra da fraitendimenti tipici della mentalità occidentale .
A mio parere è sempre bene ricordare che noi praticanti di arti marziali non possiamo esimerci dall’insolubile dualismo definito come spirito e corpo (shin e tai) che ci rende apprendisti e artefici della nostra stessa trasformazione, una metamorfosi che ci accompagnerà per l’intero percorso(do) , un percorso che non termina, come molti credono, al raggiungimento del grado di Maestro, anzi esso prossegue fino a farci diventare noi stessi esempio di quello che professiamo e facciamo.Per le capacità marziali esiste una sola regola “fare”.
L’atteggiamento con cui si affronta la pratica marziale è la conseguenza, nel bene o nel male, della nostra stessa predisposizione a continuare ad imparare, crescere e studiare anche al raggiungimento di una qualità tecnica e spirituale che per sua natura non potrà mai essere totalizzante e pienamente compresa, questo particolare percorso è la naturale evoluzione di ciò che la pratica costante e sincera ci può dare: essere coscienti che il nostro obiettivo è inarrivabile ma continuare a camminare lo stesso lungo il sentiero tracciato dal nostro Sensei.
L’educazione marziale non è un istinto, anzi, essa molto spesso cozza con i nostri processi istintuali,essa racchiude l’impegno costante al rinnovamento e al tempo stesso all’introspezione; da qui il messaggio profondo, stabilizzante e al tempo stesso destabilizzante per la nostra cultura occidentale che ci impone come allievi, istruttori e maestri di applicare sempre e comunque la stessa regola: non è abbastanza conoscere e sapere, l’arte marziale necessita l’applicazione di quanto teoricamente abbiamo appreso, come diceva Johann Wolfgang von Ghoethe “non è sufficiente volere, bisogna anche agire”.
Dopo molti anni di insegnamento si cade nell’errore di volere insegnare ad altri “come si fa”, mentre ci dimentichiamo che la difficoltà invece è nel “farlo veramente”, così, le nostre lezioni diventono vacue di realtà, ci si concentra sui risultati tangibili, misurabile e si perde di vista l’essenza delle cose, educare gli altri educando noi stessi ad essere “veri”, senza creare miti e senza perdere la propria dignità.
Occorre porsi sempre come esempio senza pretendere dagli altri ciò che noi non siamo in grado di fare, l’educazione marziale dovrebbe servire a “verificare se si stia sempre percorrendo la strada maestra, quella originale oppure si sia perso l’orientamento”.