Attualmente i kata non incontrano grandi consensi da parte di molti praticanti di karate, poiché ritenuti “forme di combattimento statiche e obsolete”.
Sicuramente una buona parte di colpa di questo scetticismo è da attribuire agli insegnanti di karate che non conoscono in profondità i kata tradizionali e la loro applicazione.
Sempre più frequentemente nelle gare di kata possiamo osservare, con un certo stupore l’alterazione del ciclo respiratorio e del ritmo della respirazione a vantaggio di una più plateale e, a mio avviso, inefficace marzialità dei waza.
Le tecniche enfatizzate dal gesto puramente tecnico/atletico vengono portate con la forza degli arti superiori facendo perdere il rapporto di equilibrio tra vuoto e pieno, tra duro e morbido, tra inferiore e superiore, tra efficace e inefficace (in- yo): la respirazione forzata e alta provoca sul nostro corpo effetti opposti a ciò che invece si dovrebbe ottenere per essere realmente efficaci.
La respirazione toracica e gutturale altera l’equilibrio energetico, capovolgendo il risultato di bilanciamento dell’intero corpo: la forza tende a salire sugli arti superiore rendendo il tronco rigido e le gambe instabili, in questo modo l’energia non potrà partire dalla spinta della pianta dei piedi, passare attraverso il corpo e arrivare all’arto interessato alla tecnica.
Pertanto è frequente vedere, anche in atleti di un certo livello tecnico, nelle fasi di trasferimento del baricentro, applicare il principio della respirazione in modo errato; inspirando quando sono nella fase più bassa della tecnica e espirando quando sono nella fase più alta della tecnica, mentre, il modo corretto sarebbe l’esatto contrario. Quando ci stiamo muovendo il nostro corpo deve essere leggero e veloce, quando chiudiamo la tecnica tutta la forza va portata sugli arti inferiori spingendo il baricentro in basso.
Le pause prolungate e ingiustificate che molti agonisti apportano in alcuni kata, scompongono il rapporto movimento/ciclo respiratorio , alterano il significato stesso del gesto, in tal modo si modificano le connessioni tra esecuzione/ fase respiratoria/ applicazione marziale: una serie di tecniche, un kata per potersi definire utile ai fini dell’applicazione marziale deve essere fluido, continuo e accompagnato dalla respirazione diaframmatica, ma poiché, in alcuni casi, le due fasi della respirazione, inspirazione ed espulsione di aria, non sono nettamente comprensibili e tanto meno rilevanti ai fini della competizione, l’esecutore le omette, camuffando la mancanza di tali requisiti con una finta e artefatta respirazione toracica e gutturale .
Nella pratica marziale è, invece, fondamentale che l’esecutore abbia coscienza di come “respirare” nella realtà del combattimento, che abbia compreso integralmente il significato applicativo del waza e/o del kata (bunkai) per poter percepire eventuali falle nella propria postura mentale e fisica, la respirazione con l’uso del tanden (sede del baricentro del corpo) è l’unico strumento per acquisire la capacità di creare un energia aggiuntiva (ki).
L’energia (ki) si sviluppa esercitandosi a creare un pressione interna all’addome che agisce abbassando il diaframma e spostando il baricentro verso il basso, si ipotizza che il ki fluisca attraverso il meridiano dei reni (sede delle nostre paura), che ha inizio nel’incavo della pianta del piede per finire tra la prima costola e il bordo inferiore della clavicola: nella fase di ispirazione si comprimono i glutei e l’ano (l’ano è collegato con l’emozione della paura), spingendo gli intestini verso il basso, abbassando il diaframma, non facendo intervenire i polmoni e i muscoli intercostali per ottenere, poi, nella fase espiratoria, una stabilizzazione della parete addominale, un allineamento della colonna vertebrale e, a tal punto, un considerevole incremento di potenza dei colpi spinti da un’energia superiore legata anche alla parte emotiva del nostro cervello (shin).
