Alcuni  insegnanti di karate, ad un certo punto della loro esperienza, almeno credo, si pongono delle domande sull’importanza e sul contenuto di ciò che da anni si ripete e si cerca di fare proprio attraverso la pratica costante del karate.
Come è oramai risaputo le reali sorgenti del karate sono i kata, ma oggi è sempre più difficile comprenderne il significato e applicarne i concetti chiave: le radici di un’arte marziale sono come quelle di un albero, attraverso esse il karate (albero) si alimenta dando dei frutti (karateka) di qualità, senza radici l’albero si secca e non può dare frutti.
Pertanto la riflessione è d’obbligo e, a mio parere, bisogna partire ab imis   per comprendere prima di tutto ciò che era ieri il karate, come e quali sono state le modifiche apportategli e, sopratutto, i motivi per cui oggi eseguiamo una gestualità modificata senza ben comprenderne le ragioni.
Sappiamo che il karate ha subito nel corso degli anni  alcuni mutamenti, tuttavia, la vera fase “rivoluzionaria” del karate è nata nel periodo in cui al  maestro Itosu gli fu commissionato di “adattare” il karate per i bambini delle scuole e per i ragazzi dei licei. In questa particolare fase il Maestro Itosu dovette dotarsi di nuovi strumenti educativi estrapolandoli dalle sue conoscenze  e da quello che in quel preciso momento il karate poteva  offrire, sebbene, all’epoca,  di educativo aveva ben poco.
A fronte di tale richiesta di trasformazione  Sensei Itosu prese in esame e in prestito i migliori strumenti dove si trovavano racchiuse le  radici del karate, i kata: Naifanchi, Kushanku, Passai e Channan, questi kata  custodivano e conservano ancora oggi  i veri “sorgenti” del karate interstile, cioè prima che i vari maestri e suole personalizzassero il karate in diverse ryu.
Naturalmente questi kata non erano stati ideati per “educare bambini” bensì per addestrare uomini a combattere all’ultimo sangue pertanto molte tecniche dovettero necessariamente essere modificate, lo stesso Maestro Kenwa Mabuni, che era allievo di Itosu, ammise che  Naifanchi appreso da Itosu era decisamente diverso da quello che gli aveva insegnato da Matoyoshi, quindi una versione diversa da quella di Itosu il quale escluse dalla versione originale gli attacchi i occhi e l’utilizzo della “spallata” per sbilanciare e atterrare l’avversario.
Seguendo questa linea di reimpostazione il Maestro Itosu codificò i cinque kata Pinan, lo scopo di tale “reimpostazione” era ben chiaro sin da subito e anche altri insegnanti dell’epoca seguirono le sue indicazioni, lo stesso Hanashiro e Funakoshi, apportano ulteriori modifiche e aggiustamenti a quelle già anticipate  da Itosu, tutto al fine di  rendere il karate “accessibile anche ai bambini”.
In questo particolare contesto storico, che vede sostanziali modifiche alla pratica esterna del karate, si riscontra che nonostante queste sostanziali modifiche i bunkai dei kata non hanno subito concreti cambiamenti ma tuttavia, per i motivi già esposti, sono stati messi nel dimenticatoio  e con il passare degli anni sono sempre più andati perdendosi.
Oggi i Maestri di karate che interpretano tale pratica ancora come Arte Marziale sono sempre più alla ricerca delle radici e con esse dell’identità dell’arte stessa; attraverso lo studio, la ricerca  e l’esperienza pratica  è ancora possibile scorgere nell’ azione dei bunkai quelle tecniche nascoste o dimenticate che hanno dato al karate quell’alone di arte marziale micidiale e unica nel suo genere.
In verità per comprendere a pieno la portata e il valore di tale rifacimento, è necessario ricomporre il puzzle facendo un viaggio  indietro nel tempo lungo quasi 150 anni, cercando di comprendere e di tenere sempre ben presente quali pezzi sono andati persi, quali sono stati dimenticati e quali sono quelli che sono stati alterati; da qui anche il concetto di bunkai che tradotto significa (smontare, ricomporre per comprendere il funzionamento), un lavoro che impone serie riflessioni, una buona dose di umiltà  e anche qualche passo indietro che non tutte le scuole o maestri sono disposti a compiere.
Sostanzialmente possiamo interpretare il bunkai come un manuale tecnico che ci pone in condizioni di comprendere schemi, movimenti, strategie e tattiche acquisite e materializzate attraverso la ripetizione della forma in positivo definito “kata”  ciò nonostante questa forma  andrà rivista e reinterpretata per mezzo della forma in negativo (bunkai).