funakoshiKARA

Nella parlata comune dei giapponesi kara è un termine generico che si traduce con “vuoto”.
Kara-tegata (assegno a vuoto), karaoke (senza orchestra), mentre la stessa parola di derivazione cinese si pronuncia “ku”; esempio kusha (auto vuota).

Per rendere il karate più comprensibile e idoneo alla cultura giapponese, Gichin Funakoshi decise di utilizzare l’ideogramma kara/ku per scrivere karate.
Per spiegare plausibilmente tale trasformazione ai maestri okinawesi, i quali erano contrari a tale trasformazione, Funakoshi citò un’opera buddista che in quel particolare periodo aveva molta influenza su altre forme di budo giapponese, l’Hannya-shingyo, il Sutra del Cuore.

Poiché ad Okinawa il karate si praticava anche con le armi, la distinzione “mano-vuota” , intesa come mano disarmata, non era adeguata alla cultura del karate di okinawa dove, appunto, tale pratica prevedeva l’uso regolare di tonfa, bo, nunchaku, sai e altri armi rurali; in tal senso Funakoshi volle collegare il concetto di vacuità, intrinseco nella pratica del karate, con la massima del Sutra del Cuore: shiki soku ze ku, ku soku ze shiki. “La forma (shiki) nasce dal Vuoto, dal Vuoto (ku) nasce la Forma”.

Come in tutte le Arti, anche nel karate, l’artista marziale si avvicina alla pratica senza possedere nessuna forma, senza avere in mente un percorso da seguire, solo affidandosi al proprio Sensei e, solamente dopo aver interiorizzato l’Arte, l’adepto sarà in grado di andare oltre la forma tecnica.